Recensione - SHAME di Steve McQueen

A pochi anni da Hunger, film del 2008, nonché suo esordio nei lungometraggi, Steve McQueen torna nel 2011 con un nuovo progetto, Shame. Un film discusso e ancora una volta con una trama non facile, al limite del provocatorio, ma al tempo stesso osannato che è valso al suo protagonista, Michael Fassbender, la Coppa Volpi alla 68ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, alle prese con un ruolo complesso e delicato, che mette letteralmente a nudo ogni lato della sua complessa personalità.
Il protagonista della storia è Brandon, un affascinante trentenne, con una vita apparentemente normale: un lavoro da manager e una bella casa a New York.  Brandon vive da solo, ma è qualcosa di più che un semplice scapolo incallito. La sua solitudine deriva da un segreto inconfessabile: una dipendenza dal sesso che lo costringe a cercarlo ovunque e in qualsiasi momento, in forme perverse che suscitino in lui un senso di vergogna e che quotidianamente nasconde agli occhi di tutti, indossando la maschera del fascinoso e brillante uomo di successo. La sua finta stabilità viene spezzata dall'arrivo improvviso della sorella minore, Sissy, che amplificherà l'impulso dell'uomo sino a condurlo in un vortice di perdizione e depravazione senza ritorno.
Shame non è un film facile. È un racconto oscuro e morboso, sulle ossessioni di un uomo e sulla sua degradazione, sulla vergogna più profonda che si annida nell’animo umano e della consapevolezza di essere una creatura abbietta agli occhi degli altri.
Non c'è amore in "Shame", non c'è sentimento. Gli avvenimenti si succedono reiteratamente, meccanicamente, come un automatismo . Il corpo nudo non ha pudori di nessun tipo, proprio per questo viene ossessivamente inquadrato, quasi a voler constatare la mancanza di un valore umano che sappia compensare a tutto ciò.
In questo quadro però, appare la variabile Sissy, ragazza giovane ma altrettanto instabile, vittima di dipendenze emotive, che porta lo stesso Brandon a confrontarsi con i propri fantasmi. Brandon rifiuta qualsiasi tipo di affetto, ancor di più quello di Sissy, e non riesce ad essere se stesso con l’unica collega di lavoro, Marianne, che gli mostra un interesse sincero. Ed infatti, le figure delle due donne costituiscono l'unica fonte di salvezza per Brandon. L'intermezzo destinato alla conoscenza e al mancato rapporto carnale con Marianne rivela tutta l'incapacità per il protagonista di abbandonarsi al sentimento naturale dell'innamoramento mentre la fragile Sissy tenta invano di rendere saldo il concetto di famiglia. Un percorso reso impraticabile dai (non rivelati) fantasmi del passato che riaffiorano, unito forse a una gelosia ossessiva nei confronti della sorella. 
McQueen in questo film non ci spiega le ragioni di tanta tendenza autodistruttiva che in misura diversa affligge i due fratelli. Si limita ad osservarli nella loro complementarietà e nella loro diversità, nel loro sentirsi posizionati in modo sbagliato nel mondo. Shame ne mostra solo il lento disfacimento, la discesa verso un baratro che sembra apparentemente inevitabile.
Insomma in Shame non si gioca sulla storia, ma sulle inquadrature: ognuna racchiude in sé tutta l’angoscia di un uomo prigioniero di sé stesso.  Ma Brandon non è l’unico a vivere nella vergogna. In questo film non ci sono eroi positivi, solo personaggi che si muovono spinti da bisogni bassi ed elementari come bestie, in un mondo senza speranza. 

News pubblicata lunedì 22 maggio 2023