IL SOL DELL'AVVENIRE, NANNI MORETTI (2023)

Nanni Moretti torna a Cannes con un film-testamento che si fa riflessione sulla senilità e sulle difficoltà di raccontare il contemporaneo.

L'ultimo di Nanni Moretti si può definire il suo film-compleanno perché esce nelle sale a trent’anni da La stanza del Figlio e a cinquanta da La sconfitta, suo cortometraggio d’esordio.

È un ritorno al Moretti decostruito, metà-cinematografico. Un ritorno a quel cinema con cui Nanni Moretti ha saputo reinventare di sana pianta il Cinema Italiano. Un cinema che non è solo narrativo ma anche (auto)ironico, ironia attraverso la quale l’autore ha sempre raccontato il proprio paese, la sua realtà sociale e politica manifestando sempre quel sentimento di inadeguatezza e di Solitudine Leopardiana che passava attraverso la delusione politica.

Il film si muove su tre piani narrativi:

- Giovanni è un regista di settant’anni che vuole girare un film sul PCI mentre è alle prese con un matrimonio in crisi, con la Moglie e sua produttrice (Margherita Buy), che sta andando in terapia per trovare il coraggio di porre fine alla loro storia.

- Il film stesso: La storia, ambientata nel 1956 durante la Rivoluzione Ungherese, di un caporedattore del giornale di partito (Silvio Orlando) che deve far fronte ai risvolti politici che ne comportano ed al suo quartiere che sembra essersi schierato anche grazie ad una sua collega militante (Barbora Bobulova).

- E quelli sognati da Giovanni, che desidera girare un film d’amore adolescenziale che abbia come colonna sonora le più amate canzoni d’autore italiane.

È forse questa la formula più riuscita del film, la capacità di raccontare queste tre linee narrative con totale libertà compositiva, senza ricorrere allo schema legnoso delle tre storie che si susseguono, come succede nel precedente Tre Piani.

Si autocita con intelligenza, gioca col suo cinema. Ridendo, sfreccia su un monopattino elettrico in notturna attraverso Piazza Mazzini a Roma, come se fossimo ancora in Caro Diario. Critica le scarpe di una sua collaboratrice, sostenendo che i sabot sono una vergogna (ve lo ricordate Bianca?). Vuole portare sullo schermo la vicenda di un nuotatore, e strizza l’occhio alle piscine di Palombella rossa. In più si sente l’eco di Aprile. Nel film del 1998 voleva realizzare un’opera politica, per poi momentaneamente abbandonarla e dedicarsi a un musical. In Il sol dell’avvenire Moretti pone una domanda chiave: come si può raccontare il contemporaneo? Come si può cogliere lo spirito dell’Italia senza tradirla? Non è più tempo per gli intellettuali. Come si vede in una sequenza, le giovani leve si nutrono di immagini riciclate, si accontentano senza inventare. Un giovane regista deve girare l’ultima scena del suo film, un colpo di pistola, un’esecuzione. Moretti ferma tutto, cerca di spiegare che servono un’etica e un’estetica al cinema. Ma nessuno lo ascolta. Si infiammano solo quando prova a telefonare a Martin Scorsese. Ci si ferma alla superficie, nessuno vuole approfondire l’essenza delle cose, sul set come nella politica. L’ideale riposa in pace, il Partito è un ricordo.

Quello di oggi è un Nanni Moretti sicuramente cambiato. Non mancano tematiche sempre presenti nel suo cinema come la mancanza, la perdita e la politica, ma quello de Il sol dell’avvenire è sicuramente un Nanni Moretti diverso perché c’è la leggerezza, ma è una serenità compiaciuta che manca di tragedia, di rabbia, manca quel suo essere caustico, sovversivo, quel suo essere “insensibile alle parole di oggi”. Sembra che il giovane regista, quello di Ecce Bombo e La Messa è finita si stia forse adeguando ad un uomo ormai attempato e nostalgico. Ma forse la cosa più triste si cela proprio dietro questa leggerezza con la quale Moretti sembra voglia dirci altro, più funereo de La Stanza del Figlio o di Mia Madre sembra quasi aver preso coscienza di quello che è stato e che mai più sarà. Durante le riprese del suo film Giovanni e la sua troupe interrompono la lavorazione per cantare tutti in coro “Sono solo Parole” di Noemi, ma allora è vero oppure no, citando Michele Apicella, che “le parole sono importanti”?

Il finale ci fa sorridere. Nel trambusto di una parata circense che ricorda Fellini, ma più idealmente il Novecento di Bertolucci, si fanno largo tra la folla tutti i volti che hanno dato vita ai suoi personaggi nei film precedenti e questo ci fa pensare a quanto lo vogliamo bene ad un autore come Nanni Moretti ma anche a come abbia voluto raccontare il passaggio del tempo senza averlo centrato pienamente.

News pubblicata giovedì 25 maggio 2023