CONSIDERAZIONI INATTUALI sul film "La grande guerra"

C'è chi dirà, con Aristotele, “Facciamo la guerra per poter vivere in pace”, chi ricorderà il detto latino “Si vis pacem para bellum”, chi, più prosaicamente, parlerà di necessaria deterrrenza contro l'Hitler di turno o delle spese militari come volano per l'economia: sono alcuni degli argomenti che sentiremo ripetere per giustificare un fenomeno che ciclicamente si riaffaccia alla storia, la corsa al riarmo. Soprattutto da quando il capitalismo è diventato principalmente finanziario, oligopolista e, di conseguenza, imperialista, i periodi contrassegnati da un'impennata di investimenti in armi sono accomunati dall'aver raggiunto una capacità produttiva esorbitante rispetto alla capacità dei mercati di assorbirla. Di qui la necessità di una guerra che li ripulisca dell'eccesso di merci, capitali e uomini. E non è solo un'interpretazione “materialistica” della guerra se anche un filosofo vitalista come Ortega y Gasset diceva: “Non è la fame, ma, al contrario,  l'abbondanza, l'eccesso di energia, a provocare la guerra”.

Proprio uno di questi periodi precedette il primo conflitto mondiale del 1914, la Grande Guerra. Come è intitolato il film, realizzato da Monicelli nel 1959 e presente nella nostra raccolta, che ci offre uno spaccato realistico ed antiretorico della vita al fronte dei fanti di una compagnia dell'esercito italiano con quella vis comica attenuata da un velo di malinconia che costituisce l'elemento essenziale della commedia all'italiana.

La magistrale ironia con la quale gli autori (oltre al regista, ricordiamo due mostri sacri della sceneggiatura come Age e Scarpelli, e Vincenzoni a cui si deve l'idea dell'epilogo del film che ricavò dalla lettura di “Due amici” di Maupassant, ambientato nel periodo della Comune di Parigi) ne narrano le vicende non ci fa dimenticare che si trattò di uno dei momenti più drammatici mai vissuti da soldati italiani: utilizzati come carne da cannone da ufficiali completamente insensibili alle loro condizioni e al loro destino, come evidenziato in alcune scene ispirate al libro di Emilio Lussu “Un anno sull'altipiano” (dal quale fu tratto un altro capolavoro del cinema italiano, anch'esso presente nella Mediateca, “Uomini contro” di Francesco Rosi: emblematica la scena dei soldati austriaci che escono dalle trincee per implorare quelli italiani di non lanciarsi contro il loro fuoco in attacchi suicidi ordinatigli dai superiori).

Nella varietà dei tipi regionali e dialettali rappresentati da quei fanti (antologia, spesso macchiettistica e abusata nel filone della commedia all'italiana, che ha contribuito a farci dimenticare di essere uno dei popoli etnicamente più omogenei) si snodano le disavventure dei due protagonisti interpretati da Sordi e Gassman. Questi due anti-eroi, dopo aver giocato a nascondino col nemico per tutta la durata del film, si riscattano nell'episodio finale sacrificandosi per la salvezza dei loro commilitoni e assestando, così, un colpo allo stereotipo degli italiani che “ne se battent pas” (come diceva di noi il generale francese de Lamoricière nell'800) o del budello italiota per cui “Franza o Spagna purchè se magna”.

Ma c'è un altro modo, non meno vile, di giocare a nascondino col nemico: è quello di chi, servendosi di armi ultrasofisticate, riparato in un luogo più o meno segreto di qualche paese ipertecnologizzato, come in un videogame, falcia soldati e civili di popoli il cui sviluppo economico e militare è rimasto quello degli anni della Grande Guerra.


News pubblicata giovedì 14 aprile 2022