CONSIDERAZIONI INATTUALI SUL RAPPORTO TRA INTELLETTUALI E CINEMA

La storia del Cinema non sarebbe stata la stessa senza il contributo di alcuni uomini che avendo avuto la ventura di poter vivere scrivendo racconti, saggi, poesie, articoli, etc, vengono definiti intellettuali.

Tra gli intellettuali che in Italia hanno dato un apporto determinante alla cinematografia vanno ricordati Cesare Zavattini (di cui recentemente sono stati pubblicati i Diari) , il principale sceneggiatore del neorealismo con “Sciuscià”, “I bambini ci guardano”, “Miracolo a Milano”, “Ladri di biciclette”, Tonino Guerra che per Antonioni ha sceneggiato “L'avventura”, “La notte”, “L'eclisse”, “Deserto rosso”, “Blow-up”, “Zabriskie Point” e, poi, Pier Paolo Pasolini.

Pasolini può essere considerato uno degli ultimi perchè a partire dalla fine degli anni '70 non solo diventa impalpabile il valore aggiunto dal ceto intellettuale alla qualità della produzione cinematografica italiana (che, anzi, anche per tale ragione, subisce un impoverimento culturale dal quale non si sarebbe più ripresa) ma soprattutto perchè, più o meno da allora, questo ceto si abitua a muoversi come fanno i banchi di pesci, pronti ad ogni svolta repentina ma sempre all'unisono, e ad ammiccare con sguardo naturalizzato a ciò che lo circonda, considerando eventi e fenomeni alla stregua di fatti inevitabili da accettare acriticamente.

Esattamente l'opposto di quegli intellettuali sopra citati che avevano fatto dell'anticonformismo e della sistematica critica corrosiva dell'esistente il fondamento del loro impegno anche nel Cinema. E ad essi bisogna aggiungere un altro nome, quello di Ennio Flaiano, di cui ricorrono i 50 anni dalla morte. Scrittore (suo il romanzo vincitore della prima edizione del premio Strega nel 1947, “Tempo di uccidere”), poeta, commediografo, traduttore, giornalista che per il Cinema ha firmato una settantina di scenografie e il cui sodalizio con Fellini è paragonabile per continuità a quello di Zavattini con De Sica e di Guerra con Antonioni.

Antifascista durante il Ventennio e anti-antifascista quando, a partire dal secondo dopoguerra, il partito dell'antifascismo mieteva iscrizioni, Flaiano ha impresso ai film da lui sceneggiati una vis analitica tanto spietata quanto ironica della società contemporanea facendone emergere viltà e miserie, e contribuendo a dare ad alcuni capolavori della Commedia all'italiana (“L'arte di arrangiarsi” di Zampa, “Guardie e ladri” di Steno e Monicelli) l'impronta del “castigat ridendo mores”, la capacità di fustigare i costumi del tempo ma con sarcasmo, perchè tanto “la situazione è grave ma non è seria” come disse in uno dei sui celebri aforismi.

Nemico del lieto fine e della rappresentazione consolatoria delle vicende narrate, pose il suo umorismo melanconico e fustigante accanto all'onirismo felliniano nei principali lavori del regista riminese come “I vitelloni”, “Le notti di Cabiria”, “La strada”, “Lo sceicco bianco”, “La dolce vita”, “Boccaccio '70” (suo l'esilarante episodio “Le tentazioni del dott. Antonio”, con Peppino De Filippo, graffiante affresco del moralismo bigotto e ipocrita di un certo milieu cattolico; e ricordiamo incidentalmente che, nello stesso film, anche l'episodio “La riffa”, firmato da De Sica e sceneggiato, manco a dirlo, da Zavattini affresca certi pruriti di quel mondo): tutti film che, grazie alla fusione tra la descrizione cinica di Flaiano e quella sognante e infantile di Fellini, ci restituiscono un'immagine disincantata e grottesca dell'Italia del miracolo economico in piena trasformazione sociale ed antropologica di cui è emblema la sguaiataggine dei nuovi ricchi.

Ma degli anni del Boom le sceneggiature di Flaiano hanno messo in evidenza anche altri aspetti: il disagio esistenziale e l'inautenticità dei rapporti umani in “La notte” di Antonioni, la noia della quotidianità in “Un marziano a Roma” (allegoria di una speranza di salvezza sconfitta, scritta originariamente per il teatro), l'arrivismo e la spregiudicatezza in quell'altra metafora fantascientifica che è “La decima vittima” di Petri.

Essenziale, icastico, scarno ma impietoso, il punto di vista col quale Flaiano tratteggia i suoi tempi sta lì a ricordarci il giusto atteggiamento dell'intellettuale di fronte alla verità ufficiale: “Io scrivo per non essere incluso”.




News pubblicata giovedì 24 novembre 2022